OrthodoxWiki:Italiano/Icona
Il termine icona deriva dal russo "eikona", a sua volta derivante greco bizantino "εἰκόνα" (éikóna) e dal greco classico "εἰκών -όνος" derivanti dall'infinito perfetto "eikénai" traducibile in "essere simile", "apparire" mentre il termine "éikóna" può essere tradotto con immagine, e indica una raffigurazione sacra dipinta su tavola, prodotta nell'ambito della cultura bizantina e slava, è espressione artistica teologica.
L'icona, come dicono i teologi greci, è " deuterotypos del protottypos": riflesso della realtà di Dio.
Contents
Le origini dell'icona
La venerazione dell'icona è un dogma di fede, formulato dal settimo concilio ecumenico. fu durante la crisi iconoclasta, nell'VIII e nel IX secolo, che la chiesa dovette precisare il significato dell'icona.
Teologia dell'icona
Fondamento cristologico dell'icona
L'icona per eccellenza è Cristo stesso. Nell'Antico Testamento, Dio si rivelava per mezzo della Parola: rappresentarlo sarebbe stato, quindi, un atto basflemo. Ma, nella Nuova Alleanza, la Parola si è fatta carne: " " Poichè l'Invisibile, essendosi rivestito della carne, è apparso visibilmente, si rappresenti ormai la somiglianza di Colui che si è fatto visibile..." (San Giovanni Damasceno". Cristo non è soltanto il Verbo di Dio, ma la sua immagine. L'Incarnazione fonda l'icona e l'icona mostra l'incarnazione. La prima fondamentale icona, per la chiesa ortodossa, è dunque il volto stesso di Cristo. Egli è l'immagine acheiropoietè "non fatta da mano d'uomo": tale è il senso profondo della tradizione liturgica del panno (mandylion) sul quale il Signore avrebbe impresso il suo santo volto. IL ricordo del volto del Signore fu preziosamente conservato in Terra santa: è la rappresentazione realistica, detta " siriaca". Quanto al Padre, fonte della divinità, il settimo concilio ecumenico e il grande concilio di Mosca del 1666-1667, hanno formalmente proibito di rappresentarlo: " Chi ha visto me, ha visto il Padre", disse Gesù (Gv 14,9). Lo Spirito santo si è mostrato come colomba e lingue di fuoco: solo così verrà dipinto; del resto, è lui che suggerisce la luce stessa di qualsiasi icona. Il ritmo della Trinità, la sua divinità, è simboleggiata dall'ospitalità di Abramo ch accoglie i tre angeli, dei quali il grande iconografo russo Rublev (1360-1430) ha saputo dipingere il misterioso movimento di amore che li unisce senza confonderli.
Icona = Rivelazione
I volti dei santi nelle icone si chiamano visi, cioè volti di coloro che si trovano fuori del tempo, nell’eternità. Infatti i tratti individuali del volto, che sono attributi della vita terrena, rimangono soltanto come dei segni, che non è necessario fissare. Il viso è un volto che si è liberato dalle passioni mondane, che si è trasformato spiritualmente. Si può riconoscere o distinguere un santo solo da una serie di segni canonici (libro, vestito, barba, baffi, ecc.). Si ha una costante iconografica, ripetuta senza cambiamenti in ogni rappresentazione di quel santo nelle diverse icone delle varie epoche. I visi, volti, sono simboli della profonda spiritualità dell’uomo, essi sono pure volti di persone. E la stessa faccia dell’uomo diventa un’icona, perché "l’uomo porta impressa in se stesso l’immagine di Dio più perfettamente degli angeli, che sono puri spiriti". L’uomo, la sua carne, il suo volto sono stati santificati da Cristo nel grande mistero dell’Incarnazione. "Dio ha assunto la natura umana, che aveva preparato fin dal principio come Suo vestito, in cui si è avvolto attraverso la Vergine Maria". Ma le icone riportano solo quei tratti visibili, che esprimono le caratteristiche invisibili del Prototipo, quali l’umiltà, la bontà, la pazienza, la semplicità, la mitezza.
Le icone non possono essere comparate con altre opere d’arte. Le icone non sono dei quadri. I quadri, con i loro lineamenti e il loro colore, narrano degli uomini e degli avvenimenti della realtà. L’icona è una finestra verso il mondo di un’altra natura, però questa finestra è aperta soltanto per quelli che hanno la vista spirituale. Per potersi avvicinare alla comprensione delle icone, bisogna vederle con gli occhi di un credente, per il quale Dio è una realtà indiscutibile.
Icona come elemento liturgico e Immagine
L’ Icona è considerata come qualcosa di immortale, speciale. È il mezzo necessario di culto, che tranquillamente si potrebbe “catalogare” subito dopo la Santa Liturgia. Per questo le icone prima di essere messa al culto, devono essere censurate dalla Chiesa.
L’icona sempre dipende dalla Chiesa, e non come si pensa da solito, dall’iconografo (laico o no). L’iconografo ha sempre presente che l’icona non è una semplice rappresentazione dalle persone sante della Sacra Scrittura o della Tradizione, non è nemmeno un elemento decorativo. L’icona è molto di più. È un elemento liturgico, venerato, l’oggetto santo. L’icona è la Vita e Azione della Fede della stessa Chiesa nel percorso dei secoli.
Come sappiamo Dio non ha né forma, né dimensioni, né colore, né volume. Dio nessuno l’ha mai visto (Gv.1,18a) Nonostante questo Dio per rivelarsi, per raccontarsi s’è dato un’Immagine, una icona, che ha forma, colore, dimensione e volume: ed è l’essere umano, uomo e donna insieme.
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. (Gen.1,27)
Tutta la creazione è riassunta in questo essere della duplica immagine. Ne segue la definizione dei Padri della Chiesa: L’icona è visibile dell’invisibile. Il Dio Figlio si incarna in questo volto umano, diventando l’icona perfetta. Il Visibile dell’Invisibile Dio. Per questo Origine ci dirà che sin dall’inizio dei tempi Dio si incarna, Dio si rileva attraverso la Sua icona, attraverso il visibile, il limitato – Lui l’invisibile, l’illimitato. Dunque la vera icona è l’essere umano, di cui il prototipo è Gesù Cristo: è Lui il visibile dell’invisibile Dio.
Un’icona è una rivelazione. Un’icona è la Rivelazione. Un’Icona: sei tu.
Storia dell'icona
Nel corso della storia, ci sono stati anche dei dubbi sul quello che riguarda la rappresentazione delle icone. La regolamentazione dell’iconografia nel Bisanzio, era il risultato di lunghe discussioni e lotte, legate all’iconoclastia. Una delle più importanti cause dell’iconoclastia era la pressione ideologica e militare dei musulmani sull’impero bizantino
Nel 730 l’imperatore bizantino Leone III ha proibito il culto delle icone. Prima di diventare imperatore, lui aveva lavorato molto nelle province orientali dell’Impero e si trovava sotto l’influsso dei vescovi dell'Asia Minore, i quali, a loro volta influenzati dall’islam, cercavano di purificare la religione cristiana da ogni elemento materiale, sensibile, non spirituale. Molte icone,mosaici, affreschi furono distrutti. Però la venerazione delle icone non si è fermata, anzi continuava anche se i suoi seguaci erano crudelmente perseguitati. Il culto delle icone fu riammesso temporaneamente nel 787 dal VII Concilio Ecumenico, e definitivamente nel 843.
Uno dei più autorevoli difensori della venerazione delle icone è stato San Giovanni Damasceno (675-750 circa), grande teologo e politico; i suoi argomenti hanno influenzato le decisioni del VII Concilio Ecumenico. San Giovanni Damasceno insegnava che l’interdizione dell’Antico Testamento di fare immagini di Dio, aveva un carattere temporale: "Nell’antichità nessuno faceva immagini di Dio. Adesso però, dopo che Dio si è manifestato nella carne ed è vissuto in mezzo agli uomini, noi facciamo immagini del Dio visibile. Non faccio l’immagine della Divinità invisibile, faccio l’immagine del corpo di Dio che ho visto...". San Giovanni Damasceno scriveva che Dio è venuto per gli uomini nel suo Figlio Gesù Cristo, il quale entra nel mondo degli uomini e accoglie il corpo umano: "perché abbiamo bisogno di quello che è simile a noi".
Senso dell'iconografia
L'icona - immagine - non è una copia di quello che è rappresentato, bensì il simbolo, con l’aiuto del quale possiamo arrivare fino alla comprensione del Divino. L’icona gioca il ruolo del mistico mediatore tra il mondo terrestre e quello celeste.
La struttura dell'icona
La Tavola di legno Per rispetto verso la Rivelazione, verso la parola che deve essere comunicata al popolo di Dio, occorre una base solida. Il Legno ha prevalso su molti materiali, perché è facile di trovarsi, facile da lavorarsi e solido. Secondo alcuni la scelta del legno venga dal ricordo della Croce. Questo legno si taglia e lavora come un Altare e come un corpo umano. Come un Altare – luogo della Presenza, sarà quadrato o rettangolare, rappresenta simbolicamente i quattro punti cardinali, la nostra pianeta. È presso di noi che Dio si è manifestato, si è incarnato. Tutta la nostra terra è il luogo della Redenzione, dell’incontro dell’uomo con Dio, il luogo della Presenza. Le forme quadrate o rettangolari simboleggiano ciò che è limitato. Ma la tavola dell’icona, può avere anche la forma circolare, rappresentando così il divino, qualcosa che non ha né principio né fine. Se la nostra tavola è l’Altare, essa è anche il corpo umano, e come il corpo ha uno scheletro solido, nervi e carne che rivestono questo scheletro, così il legno è spalmato con colla di pelle, telato, rivestito tutto con una mistura “il Bianco – LEVKAS”. Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto Integro in ogni parte; vorresti ora distruggermi? Ricordati che come argilla mi hai plasmato E in polvere mi fai tornare. Non m’hai colato forse come latte E fatto accagliare come cacio? (Giobbe 10,8-10)
Tutta la parola che forma il corpo è proclamata dai gesti dell’Iconografo. Il tutto sarà levigato, pulito. Pronto ad accogliere la parola ed a manifestarla. La tavola unificata nel suo simbolismo di Altare e Corpo umano: per aiutarci a prendere coscienza che il vero altare di fronte a Dio è la persona umana. L’altare nella chiesa simboleggia il Corpo di Cristo, il Corpo del Cristo totale, Lui e noi insieme. Tutta questa liturgia celebrata dall’iconografo per formare l’Altare, il corpo umano, ha il suo necessario aspetto pratico. Se il legno non è incollato, intelato, intonacato, levigato, l’icona non durerà, la pittura sarà subito deteriorata, sciupata. È dalla qualità dell’intonaco che dipenderà la durata dell’Icona.
Il disegno – l’incisione L’Altare - il corpo umano – pronto: bisogna darli un volto: un disegno che sia la Scrittura in immagine.
Nella Scrittura, fin dall’inizio Dio ci parla con delle misure: alto, basso – destra, sinistra – fronte, retro… ma Dio non ha né destra né sinistra, non ha né fronte né retro. Non si può andare dietro Dio: noi siamo in Dio, e Dio non ha dimensioni. Nel basso: roviniamo tutto sotto i nostri piedi. E più scendiamo, più nero è l’abisso, il luogo della morte. Con la testa respiriamo, accogliamo la vita. Noi designiamo gli esseri vili in basso, gli esseri magnanimi in alto. Il Male, il contrario di Dio, sarà identificato con un animale del basso: il serpente. Ma il Bene, lo Spirito si mostrerà sotto l’aspetto di uccello.
È questo linguaggio inciso nel nostro corpo che Dio impiega per raccontarSi. Ancora una volta, è l’essere umano che “racconta” Dio.
Il disegno, ben lavorato, ben “pregato” in funzione della Rivelazione è inciso nella tavola: egli prende possesso delle tavole – altare, corpo umano. Egli imprime anche un segno indelebile. Dio prende possesso dell’essere umano dall’interno: Dio non si applica alla superficie.
Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo… (Gen, 2,7)
L’incisione della tavola simboleggia questo segno indelebile di Dio nell’essere umano. Il legno assorbe la colla, la colla assorbe la tela, la tela assorbe l’intonaco, l’intonaco è inciso e a sua volta assorbirà i colori. Così tutto fa l’unità nell’icona.
L’oro. Dio disse: “Sia la luce” e la luce fu (Gen. 1,3). Se guardiamo bene vediamo che è con la sua propria luce che Dio ha creato tutto ciò che non esisteva. I Padri la chiamano: la Luce incerata. La luce creata arriverà che il quarto giorno.
L’oro è stato scelto a simboleggiare questa Luce incerata, perché l’oro è una materia che non si deteriora, che non arrugginisce, che resta sempre luminosa: l’oro è luce.
Nelle Icone non c’è il cielo blu, la notte stellata. Il Cielo è Dio stesso, e Dio è Luce. Immergendo tutti i misteri nella luce (l’oro), ponendo tutto in Dio, l’Icona trascende il tempo e lo spazio, l’icona ci aiuta a prendere coscienza dell’eterno Presente.
La pittura:
la prima immagine della Bibbia è un disastro, il Caos, vuoto, tenebra, abisso – in ebraico tohu wabohu. Una immagine negativa, che ci racconta l’Assenza, si potrebbe dire: “la non armonia”, il “non essere”, la “non luce”, la “non vita”.
Per esprime questa assenza, questo tahu wabohu, l’iconografo userà il nero, l’assenza di luce. Ma se da nulla siamo stati tratti, anche da Dio siamo stati tratti, dalla Luce. E l’Iconografo aggiungerà al nero tre volte di più la luce, simbolizzata dal giallo e dal giallo-ocra.
Dal fango noi siamo tratti, e l’iconografo aggiungerà della terra d’ombra bruciata. Questo miscuglio molto scuro, leggermente verdastro, coprirà nell’icona tutto ciò che è carne. È il primo strato della pittura, il primo strato dell’icona, molto scuro, esprime questo “profondo”- tahu wabohu.
Successivamente, soltanto con la luce (giallo e giallo-ocra) e con la Vita, il Sangue (ocra rossa), l’iconografo comincerà a delineare le forme del corpo, le forme del volto.
Se la sorgente della luce è gialla, l’esplosione della luce è il bianco. Se tutti fosse luce abbagliante, tutto sarebbe bianco e non si vedrebbe nulla. Così il bianco rappresenta la pienezza, al di là da ogni forma di colore. Il Cristo risorto sarà tutto bianco; il cristo trasfigurato sarà splendente di luce – bianco. Il giallo darà luce ai colori, ma sempre verrà il bianco nello splendore finale. Questo linguaggio dell’icona, questa tecnica di partire delle tenebre, ci aiuta a prendere coscienza della Realtà della Rivelazione. Dio non distrugge le tenebre, Egli le trasfigura.
L’abito.In tutta la Bibbia, l’abito è segno di benedizione. Più si ama qualcuno più lo si “abbiglia”. L’abito esprimerà esteriormente lo splendore di cui Dio ricopre la nostra nudità, la vera nudità è interiore: noi siamo nudi di Dio, nudi della luce. Attraverso l’abito, l’icona esprimerà al di fuori Dio che abita in noi e ci riveste dall’interno. Nell’iconografia, le forme circolari simboleggiano il divino, ciò che non ha né inizio né fine. Allora per mostrare che Dio in noi è inerte ma infinitamente più “energico”, l’iconografo farà girare tutte le pieghe delle abiti intorno alle articolazioni del corpo. Normalmente un tessuto ha un peso, spiomba – nelle icone non ha alcun peso, esso gira intorno alle articolazioni. Se siamo viventi ci muoviamo attraverso le articolazioni del nostro corpo, altrimenti siamo un cadavere. Nell’icona ciascuna articolazione del corpo diviene un centro di vita, un centro di luce, e le pieghe luminose del vestito girano intorno.
Il segno dell’alleanza.
Le aureole del Cristo e dai Santi sono sempre contornate di un color rosso. E il nome è sempre nel colore rosso sangue. E molto spesso questo stesso rosso circonda tutta l’icona. È il “segno dell’Alleanza”.
Nella prima alleanza, Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare,… e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza, che il signore ha concluso con voi”.(Es. 24, 6-8). Una metà sull’altare: l’iconografo circonda l’icona di rosso sangue, una meta sul popolo: dello stesso rosso l’iconografo circonda i personaggi con le aureole.
Il Sangue è la vita che scorre all’interno. Del sangue sparso al di fuori è una vita sacrificata. Dio si serve del sangue per farci ben comprendere che è la stessa Vita che corre da Dio al popolo e dal popolo a Dio – il Sangue che “unisce” – il Sangue dell’Alleanza.
Il Nome. L’icona è sempre “intitolata” – ha sempre un Nome. Davanti ad un’icona, come davanti alla Scrittura, non siamo davanti a “qualcosa”, ma di fronte a “Qualcuno”. Davanti ad un Volto che ci interpella: Ti conoscevo – ti ho chiamato per nome (Geremia 1,5 – Isaia 43,1) Quando l'uomo entra in nuova condizione ha bisogno di un nome nuovo. Tutte le icone hanno sempre scritto sopra il nome della raffigurazione. La persona di Gesù è indicata con le lettere del alfabeto greco IC XP (Gesù Cristo). Nella Chiesa Ortodossa l’onomastico è festeggiato più del compleanno, poiché esso ricorda la rinascita nel battesimo.